domenica 16 gennaio 2011

127 Hours



Se The Slumdog Millionaire aveva messo a dura prova le vostre coronarie, se la vittoria agli Oscar 2009 vi aveva fatto cambiare canale e se cominciavate a vedere in Danny Boyle la figura di un flaccido inglese dedito alle storielle di cuore allora 127 Hours è il film che fa per voi. Probabilmente in pochi saranno a conoscenza della storia di Aron Ralston, ingegnere americano appassionato di escursioni che, a causa proprio della sua passione, nel 2003 si era visto privato di un arto autoamputato in seguito ad una rovinosa caduta all'interno del Canyonland Nation Park. Similmente a quanto fatto da Cortés con il recente Buried, Boyle ci trascina nella drammatica epopea delle 127 ore trascorse da Ralston (James Franco) all'interno del canyon e presentandoci il personaggio attraverso flashback e visioni usate per traghettarci in una sorta di redenzione metafisica del personaggio. La difficoltà di un film del genere sta senza dubbio nell'approccio registico che si vuole adottare, reggere un' ora e venti di storia ambientandola tutta in un unico pertugio roccioso non è materia da principianti e Boyle ci dimostra che in realtà quell'oscar tanto discusso non è poi così immeritato. Un montaggio fitto ed a tratti 'pubblicitario' conferiscono al film quello sprint essenziale per non dargli l'etichetta di mattone; il regista britannico trova la sua dimensione ideale aiutato però da un Franco ottimo (oscar?) che regge tutto il film sulle sue spalle. L'unica nota stonata è il finale, troppo buono e colorato rispetto al clima d'angoscia nato durante il racconto; questo non riesce però a pregiudicare un film ottimamente riuscito, un ritorno di gran classe per Boyle che mette a tacere chi lo aveva già accantonato con l'accusa di 'videoclipparo'.


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